Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Sondrio

Umberto Riva.
Un ricordo del nostro Ordine

Umberto Riva (Milano, 1928 – Palermo 2021) è stato l’ultimo grande architetto del ‘900 italiano, con ampiezza produttiva nel Ventunesimo ad andarsene silenziosamente, in punta di matita.

Della sua raffinata produzione – quasi integralmente dedicata ai piccoli temi della ricucitura di tessuti urbani di cortina, alla cesellatura in sottosquadra di spazi raccolti o marginali, alla giustapposizione di quinte e vedute per l’abitare domestico o per l’allestimento museale – sappiamo tutto e niente, avendo Umberto costruito per se e per pochi intimi, capaci di condividere le sue passioni extra-professionali: i viaggi solitari, la fotografia analogica, il silenzio.

All’inizio degli anni ’90 “Lotus International” gli dedica un numero monografico di grande piacere visuale, dove l’architettura del Maestro milanese è illustrata attraverso i disegni a grafite HB molto ben temperata, con poche fotografie – quasi tutte del cognato Fredi Drugman – e apologetici testi di suoi contemporanei che, a differenza del protagonista, non disdegnarono di barattare, nel post-Sessantotto, le costrizioni professionali con la liberalità disciplinare di un incarico accademico.

Spiccavano le prime versioni del noto condominio di via Paravia a Milano (1966) con le prospettive interne della villa a Taino sul Lago Maggiore (1967) – ancora fortemente debitrici delle suggestioni plastiche del Corbu di Marsiglia e de La Tourette – seguite dai “Lampostil” a deformare, per l’espansione del solvente sulla carta da lucido, il disegno a scacchiera delle coperture in ceramica di Castelsardo per le case di vacanza a Stintino (1972).

La matita grassa, arricchita da delicate marezzature Contè metallizzato, erano invece servite all’architetto – e ai redattori - per il racconto dei numerosi interni milanesi degli anni ‘80 (fra i più noti: Casa Insinga, Casa Frea, 1983-‘85) in alcuni casi già rivenduti ai tempi della pubblicazione dai loro committenti causa Tangentopoli, dalla cui documentazione fotografica occhieggiavano però sculture di Gligorov, Corbacciò, Plessi e altri imperdibili artisti in odore di Transavanguardia.

I Novanta si aprono invece con un inatteso abbattimento di quella distanza critica che aveva fino ad allora contraddistinto Umberto Riva dalla scuola; sono questi gli anni di suoi sporadici incarichi a contratto per l’insegnamento di materie ‘ancillari’ al Politecnico di Milano. Un momento fertile nel quale gli studenti si interessano alla sua figura e al suo lavoro – quasi totalmente oscurato dalle riviste di settore – più di quanto non si interessasse lui al lavoro degli studenti, capace di generare un circolo virtuoso fatto di lezioni extra-accademiche, viaggi e avventure alla scoperta dei primi cantieri salentini (Casa Miggiano, Otranto, 1989-‘90) e collaborazioni professionali sul fronte del design a piccola tiratura (Lampada Filù, Fontana Arte, 1992) a beneficio di entrambi. Alcuni suoi fortunati studenti parteciparono progettualmente alla riqualificazione dell’ambito d’ingresso del Palazzo dell’Arte a Milano (inaugurato in occasione della mostra “Identità e differenze”, Triennale, 1996) e al restauro del Caffè Pedrocchi di Padova (1997).

Il rinnovamento dell’organico dello studio di via Vigevano, in zona Navigli, coincise poi con la specializzazione professionale di Riva nei temi del restauro urbano, a partire da quella fondamentale esperienza che fu il ridisegno pavimentale di piazza San Nazzaro a Milano (1987-‘90) nell’ambito delle nuove piazze per il centro storico reinventate in occasione della realizzazione della linea 3 della metropolitana.

E’ qui che trova il proprio ambiente germinale il progetto di riforma per piazza Garibaldi a Sondrio: spazio d’impronta absburgica, aspramente granitica, per niente verde ma certo insolita, poiché aperta da un lato verso il potente paesaggio terrazzato dei vigneti retici che si estendono millenari, a ovest della città.

La versione iniziale di questo progetto, ben illustrato da una prospettiva a volo d’uccello fatta col portamine sulle scrivanie della banca che ne aveva condotto il project financing, propone un gesto eclatante: la rimozione del monumento all’Eroe dei Due Mondi dal centro della piazza verso il lato orientale, dove avrebbe campeggiato al centro di un doppio filare alberato capace di offrire nuova centralità prospettica al Teatro Sociale, sgomberando di fatto i due terzi del vuoto cittadino da porzioni a verde e dai sistemi d’acqua, che avrebbero in tal modo consentito la piena fruizione del sottosuolo per un autosilo da 300 auto.

L’intero disegno è giocato attorno a minimi salti di quota, aree ribassate in alternanza a spazi rinaturalizzati attraverso la derivazione di rami fluviali, vasche d’acqua e incrostazioni rocaille, alla maniera dei maestri dei giardini del Secolo d’Europa da Lennè al barone Hausmann.

Niente da fare, Umberto non ce l’ha fatta: il progetto cade in Soprintendenza prima che nelle commissioni comunali, dove sarebbe giunto già fortemente ridimensionato da una violentissima campagna mediatica contro la rimozione del monumento a Garibaldi.

Lo vedemmo alcune volte ancora a Sondrio, dopo quell’esperienza, in visita a una mostra dedicata a Vincenzo Scamozzi, riadattata a palazzo Sertoli da un suo allestimento vicentino per il Centro studi palladiano. E fu l’ultima.

Leo Guerra

Un progetto per Sondrio_Dialogo con Umberto Riva.pdf